sabato 25 giugno 2011

200-Il Regalo/7

Non l’ho mai saputo nemmeno io, ma credo che in quel momento il grande uomo fosse presente e ci osservasse. Stava suggerendo alla piccola cosa fare, e, laddove non ci fosse riuscita, era pronto ad intervenire.

Ne ebbi la prova nel momento in cui sentii un piccolo sobbalzo e mi resi conto che una delle estremità del filo era adesso strettamente legata a me, con un forte e resistente nodo … chi mai aveva potuto fare quel nodo?

Ci ritrovammo nuovamente nel buio, io a terrà, ben disteso, con quel buffo gomitolo ormai saldamente legato al mio telaio, e lei in piedi davanti a me che mi guardava con un espressione tra il divertito e lo stupito.

Cominciavo a piacerle, ma ancora non sapeva come utilizzarmi, ancora non riuscivo a portarla da nessuna parte. Non sapevo come aiutarla, anche se avessi potuto farlo, nemmeno io sapevo quale sarebbe dovuta essere la prossima mossa da fare.

Aspettai.

La bocca della bambina si aprì ad un largo sorriso ed esclamò “ho capito!”.

Allungò la sua manina e prese il gomitolo in mano …………….

Non capii più niente, per un attimo, per una milionesima frazione di secondo, non riuscii più a capire, vedere, sentire, come se un fulmine mi avesse colpito in pieno, come se fossi morto e rinato in un attimo (se mai un oggetto abbia la possibilità di morire e nascere…).

Ma cosa mi era successo ?

Ero ancora lì, in terra, nella stessa identica posizione che avevo l’istante prima, non era successo assolutamente niente, stesse luci, stessi suoni, tutto uguale.

Eppure un fulmine mi aveva colpito, guardai in alto, verso il cielo, nemmeno una nuvola, nessun temporale, da dove era saltato fuori quel fulmine?

La bambina, come me, aveva improvvisamente provato una immensa sensazione di paura e, istintivamente, aveva gettato a terra il gomitolo.

I suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime, stavolta non era gioia, lo percepivo, era proprio paura.

Aveva paura di essere in presenza di qualcosa più grande di lei, che potesse farle del male. Decise di riprendere il gomitolo caduto nel buio, e mentre lo fece, lancio un grido nel vuoto, nella speranza che qualcuno la sentisse .. “per favore, ti prego, chiunque tu sia, non mi fare del male, sono piccola e non potrei sopportare il dolore di un grande, non sono pronta.

Ti scongiuro, ti prego”.

Un grido che, ancora oggi, a distanza di tanto tempo, riecheggia in quel luogo nelle notti più buie.

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martedì 21 giugno 2011

199-Il Regalo/6

La forma era quella giusta, anche i colori azzeccati, forse le dimensioni un po’ eccessive, fosse stato un po’ più piccolo le sue mani non avrebbero trovato tanta difficoltà nel maneggiarlo.

Un drappo, alcuni legni un rotolo di filo, tutto qui.

Come provare emozioni nuove e fantastiche con questi oggetti, dove era il suo regalo?

Cercò le istruzioni, la bambina, senza pensare che, nessuno le aveva ancora insegnato a leggere, era ancora molto piccola, anche se vi fossero state non sarebbero state comprese … “ ma se ci fossero le figure …” pensò. Ma non vi erano figure e nemmeno istruzioni.

Doveva capire, da sola, senza l’aiuto di nessuno, a cosa servissero quegli oggetti e come avrebbero potuto diventare magici.

Cominciò a dubitare di quell’uomo che le aveva fatto il regalo, o forse aveva solo sbagliato persona e non era la destinataria di quell’oggetto.

Io ero lì, improvvisamente immobile.

D'altronde ero un oggetto, come avrei potuto muovermi?

Nemmeno io sapevo cosa fossi realmente e non ero in grado di aiutare la bambina, ci sarebbe dovuta arrivare da sola.

Anche se “inutili” quegli oggetti piacevano alla piccola, e più li toccava, più li guardava, sentiva che dovevano essere importanti per lei.

Aveva tanto desiderato un regalo del genere e adesso che lo aveva doveva solamente capire come usarlo.

Il drappo aveva una forma particolare, qualcosa di mai visto prima, lo distese a terra, per tutta la sua grandezza.

Così come si presentava adesso poteva sembrare un grande aereo futuristico, o uno strano animale alato, forse preistorico perché non le ricordava niente di conosciuto.

I legni, due e di diversa misura, avevano dei piccoli intagli al centro e le estremità erano state finemente smussate.

La luce, che si alternava al buio, illumino il drappo a terra facendo cadere l’attenzione della bimba su alcune piccoli risvolti ai quattro lati della stesso.

Guardò attentamente e vide che i risvolti altro non erano che piccole tasche, che dovevano servire a contenere qualcosa, oppure a tenere.

Era ancora molto piccola, ma non gli mancava fantasia ed inventiva, non ci mise poi molto a capire che quelle minuscole tasche erano perfette per tenere fermi quei due legnetti qualora li avesse incrociati tra loro.

Ecco a cosa servivano gli intarsi centrali.

Con i due legni fece una croce e la appoggio al drappo disteso, delicatamente infilò le estremità dei legnetti nelle piccole tasche, magicamente il drappo acquistò una forma più definita.

Restava solo un altro mistero da scoprire, perché il legnetto più lungo aveva un piccolo foro ? a cosa serviva quel gomitolo di filo che aveva trovato dentro il pacchetto?

Provò a far passare il filo dentro il foro del legnetto, ma non rimaneva fermo, si muoveva ed usciva, non era quella la soluzione.

“Se facessi un nodo?” pensò, vero, pensai io, facciamoci un nodo, ma la bambina non sapeva cosa era un nodo e principalmente, anche se lo avesse saputo, come era fatto un nodo?

Ma se non sapeva cosa fosse un nodo, come mai gli era venuta in mente quella parola senza un senso?

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lunedì 13 giugno 2011

198-Il Regalo/5

A volte anche i grandi uomini non sono perfetti, è per questo che non mi piace chiamarli “dei”, ed è forse questo quello che più mi piace in loro, non aver abbandonato del tutto l’umanità e tutti i possibili difetti ad essa collegata.

Nell’enfasi di creare oggetti, luoghi, momenti e quanto altro di più magico possibile, anche il mio “creatore” aveva commesso un errore.

Oltre alla possibilità di poter percepire le sensazioni degli altri non pensò di mettere un limite a questo. Io avrei dovuto capire se, chi stava giocando con me, era felice, per continuare nel gioco, oppure se non lo era e quindi trovare un modo per cambiare le cose.

Capire ….. non provare, uffa, si era dimenticato di mettere una sorta di “fermo”, riuscivo a capire, a sentire lo stato d’animo di chi mi stava accanto, ma perché improvvisamente provavo anche io quelle cose lì ?

Io ero un gioco, un oggetto, non potevo provare sensazioni ed emozioni, non avevo un cervello, non avevo un cuore, non avevo vene dove far scorrere, e bollire, il sangue … che non avevo.

Va bene capire, perché provare anche?

Ma il grande uomo era scomparso, lo cercai tanto nei giorni a seguire, ed anche nei mesi per la verità, ma non sono mai più riuscito a trovarlo.

Aveva commesso un errore, abbastanza grave, e forse per questo si vergognava.

Scappò e mi abbandonò con quella strana anomalia che mi ritrovavo addosso.

Provavo sensazioni, un oggetto che prova … più anomalia di questa.

Ebbi così la possibilità di vedere anche io quella luce, con gli occhi della bambina, di sentire i profumi, con il naso della bambina, di scoprire i gusti, con la bocca della bambina, di sentire i suoni, con le orecchie della bambina, di piangere, con le lacrime della bambina, di scoppiare di gioia, con il cuore della bambina.

Bello.

La bambina si rese conto che il regalo non era completo, o meglio, così come era non serviva al suo scopo, non avrebbe potuto utilizzarlo per provare quello che avrebbe invece voluto provare.

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giovedì 9 giugno 2011

197-La Fata del sorriso

È regola che le creature del bosco abitino nel bosco, e che gli abitanti della grande città abitino in città!

E invece se c 'è una regola c 'è sempre l' eccezione che possa confermarla.

Spinto dalla mia inefrenabile curiosità, mi sono addentrato tra le vie della città. Niente di nuovo, soliti musi lunghi, movimenti veloci e frenetici, ma, come un fulmine a ciel sereno, tra tanto grigiore un raggio di sole, una nota di colore.

Era una abitante della città, ma il suo sorriso e la luce nei suoi occhi erano di quelli che appartengono solo alle fate più belle.

È lei che si avvicina a me, è lei che mi strizza un occhio e mi sussurra "ciao folletto".

Impossibile : i cittadini non possono vedere noi piccole creature del bosco.

Ben interpretando la mia espressione stupita (e forse anche un pò stupida) continua "sono dei vostri, ma sono stata trattenuta in città per molto tempo. Mi sono adattata . . . Ma adesso ho ritrovato la libertà e me la godo," . . .

"posso chiederti un favore? ".

Non riuscivo a proferir parola, abbozzai un timido "certo . . . "

"Vorrei vedere una volta la città dall 'alto, da un luogo pulito ed incontaminato ".

Le strinsi la mano, chiesi aiuto al mio amico vento ed in un batter di ali ci ritrovammo sulla mia collinetta preferita.

Prati, alberi, fiori ed una vista sui tetti della città da togliere il fiato . . .

Peccato che non avevo fatto i conti con il sole che ultimamente ho scoperto essere più permaloso di un bambino capriccioso (ma questa è un altra storia che un giorno racconterò).

Nascosto dietro le nubi si era fatto sostituire da una pioggia insistente e tutto intorno a noi era incolore e malinconico.

Nonostante questo la mia inaspettata quanto gradita compagna di viaggio sembrava vedere oltre quella fastidiosa nebbia di umidità ed avevo come l'impressione di avere accanto una bambina che per la prima volta vede un nuovo gioco.

Mai, nemmeno per un attimo, il sorriso abbandonò il suo volto.

Mai i suoi occhi persero quella brillantezza che mi aveva colpito fin dal primo momento.

Tutte le cose però, specialmente quelle belle, hanno una fine, giunse il momento di dover tornare in città.

Un altro soffio del vento e, velocemente come eravamo arrivati, ci ritrovammo nuovamente nel luogo di partenza.

Un saluto, e, prima di mescolarsi alla folla, mi rivolge un ultimo, grande, sorriso ed un sussurro “grazie folletto, scusa se ti ho fatto perdere un po’ del tuo tempo”.

Io non ricordo bene per quanto il mio dito ha toccato il cielo, può essere stata una frazione di secondo un lampo, oppure minuti, ore, di una cosa sono certo, tanto o poco non è stato tempo perso.

Prego, Fatina!